Negli ultimi anni, soprattutto dopo l’urto pandemico che ha rivoluzionato il lavoro da remoto e le modalità di gestione delle risorse umane, il tema della sorveglianza nei luoghi di lavoro ha acquisito una nuova centralità. Il report “People at Work 2025: A Global Workforce View”, pubblicato da ADP Research, offre uno spaccato globale aggiornato sulla percezione dei lavoratori rispetto al monitoraggio digitale e ai suoi effetti su benessere e produttività.
Di che tipo di studio si tratta?
Lo studio è una survey quantitativa basata su circa 38.000 lavoratori in 34 mercati mondiali. Non misura l'effettiva intensità del monitoraggio, ma le percezioni soggettive dei dipendenti sul fatto di sentirsi (o meno) costantemente osservati dai propri datori di lavoro. L’analisi fornisce così uno strumento importante per valutare il clima organizzativo, le dinamiche psicologiche e il potenziale impatto di certe pratiche aziendali.
L’effetto boomerang del controllo digitale
Dopo la pandemia, molte aziende hanno adottato strumenti di monitoraggio per compensare la perdita di visibilità fisica dei dipendenti: software che tracciano le battiture dei tasti, i movimenti del mouse o scattano screenshot regolari. Tuttavia, secondo il report, queste pratiche potrebbero minare proprio ciò che intendono garantire: la produttività.
I dati mostrano che chi si sente sorvegliato è quasi quattro volte più incline a dichiarare livelli minimi di produttività rispetto a chi non avverte controllo. Inoltre, è anche molto più probabile che soffra di stress quotidiano negativo e che sia in cerca attiva di un nuovo lavoro. Il controllo eccessivo, dunque, non solo non aumenta la performance, ma potrebbe accelerare la disaffezione e il turnover.
Il lavoro da remoto non è il colpevole
Sorprendentemente, lo studio non registra differenze significative tra lavoratori remoti e in presenza. Circa il 35% dei lavoratori remoti dice di sentirsi costantemente osservato, contro il 34% degli impiegati in ufficio e il 29% di chi lavora in modalità ibrida. Questo smonta il luogo comune secondo cui lo smart working sia automaticamente associato a maggiori livelli di controllo tecnologico percepito.
Chi si sente più osservato?
I dati mostrano alcune tendenze demografiche importanti:
- Manager e dirigenti si sentono più sorvegliati dei collaboratori semplici (fino al 38% contro il 26%).
- Uomini più delle donne (34% contro 30%).
- Under 40 più degli over 40 (37% contro 27%).
Anche il tipo di lavoro fa la differenza: i cosiddetti “knowledge workers” (impiegati della conoscenza) dichiarano un livello di sorveglianza percepita più elevato rispetto a chi svolge mansioni operative o cicliche.
Il caso italiano: attenzione ai fraintendimenti
Il report include anche dati relativi all’Italia, ma è importante chiarire con attenzione che cosa dice e cosa no.
- Percentuale di lavoratori italiani che si sentono osservati:
Il 27% dei lavoratori in Italia dichiara di sentirsi "costantemente osservato" dal proprio datore di lavoro. Questo dato è in linea con la media europea, e inferiore rispetto ad aree come l’India (64%) o l’Egitto (42%). - Questione etnica e minoranze:
Il report evidenzia un tema importante: a livello globale, chi si identifica come minoranza etnica o razziale ha una probabilità molto più alta di sentirsi sorvegliato (44%) rispetto a chi non si identifica come tale (30%).
Cosa dovrebbero fare le aziende
Uno degli insegnamenti chiave dello studio è che il modo in cui il monitoraggio viene comunicato conta più della sua intensità. Dove i dipendenti dichiarano di sapere chiaramente cosa ci si aspetta da loro, sono 3,7 volte più produttivi rispetto a chi lavora nell’ambiguità.
Inoltre, il report suggerisce di evitare politiche di sorveglianza “a tappeto”. Interventi mirati su singoli casi di bassa performance sono più efficaci e meno tossici per il clima organizzativo. L’approccio granuale, umano e basato su fiducia e dialogo, funziona meglio della tecnocrazia rigida.
Dopo il Covid, cosa è davvero cambiato?
La pandemia sembrava aver dato una spinta irreversibile verso un mondo del lavoro più flessibile, orientato alla fiducia, all’equilibrio tra vita e carriera, alla responsabilizzazione. Ma l’adozione di sistemi di sorveglianza digitale ha mostrato il lato oscuro di questa transizione: la paura del calo di produttività ha spinto molte aziende a scivolare verso forme di controllo ossessivo.
Il report di ADP mostra che questa strategia è non solo inefficace, ma dannosa. Sottolinea come la trasparenza e la chiarezza nelle aspettative siano strumenti molto più potenti del monitoraggio passivo. E ci ricorda, infine, che anche nella nuova normalità post-Covid la posta in gioco è sempre la stessa: la qualità della relazione tra lavoratore e datore di lavoro.
Se davvero vogliamo costruire un futuro del lavoro migliore, forse dovremmo iniziare non dai software di sorveglianza, ma da una domanda più semplice: ti fidi delle persone con cui lavori?