In Italia si parla spesso di fuga dei cervelli, molto meno del suo contrario: il rientro di competenze qualificate nei territori da cui erano partite. La storia di Chiara Lo Zito, protagonista del settimo episodio di Remote Workers for Remote Villages, mostra quanto questo fenomeno stia diventando non solo possibile, ma anche desiderabile, grazie a un elemento chiave: lo smart working.
Chiara cresce a Palazzolo Acreide, borgo barocco dell’entroterra siciliano, poi parte a 16 anni per un’esperienza scolastica in Oregon. Da lì inizia un percorso che la porta a studiare e lavorare in varie città europee, costruendo un profilo internazionale in economia ambientale. Per molto tempo pensa - come tanti giovani del Sud - che il suo futuro non possa coincidere con la Sicilia.
Poi arriva il Covid, e il mondo del lavoro cambia radicalmente. Lontananza forzata, nuove abitudini digitali, modelli organizzativi più flessibili: tutto concorre a far emergere una possibilità che prima non esisteva davvero. Il lavoro da remoto consente a Chiara di tornare in Sicilia senza rinunciare al suo ruolo, al suo stipendio, alle sue prospettive. Ma il rientro professionale è solo il punto di partenza.
A un certo punto, Chiara capisce che “stare a casa” non basta: vuole che il suo lavoro abbia un impatto diretto sulla comunità. Nasce così Da Giù, un e-commerce basato a Palazzolo che seleziona produttori del Sud Italia, spesso piccole realtà familiari che custodiscono un patrimonio gastronomico prezioso ma poco visibile. “Se devo lavorare da remoto - spiega nell’intervista - voglio che almeno una parte del valore che genero rimanga qui, sul territorio che mi ha cresciuta”.
Questa visione si consolida quando decide di avviare una campagna di crowdfunding per riaprire un locale storico nel cuore più antico del borgo. Non è un’operazione nostalgica: è un atto di rigenerazione. Una saracinesca che si rialza in un borgo non è solo un’iniziativa imprenditoriale, ma un cambiamento culturale. Significa ridare vita allo spazio, creare un punto di aggregazione, riattivare relazioni che le aree interne rischiano di perdere.
La cosa sorprendente è come Chiara racconti tutto questo senza retorica. Non parla di “ritorno alle origini” in senso romantico. Parla di equilibrio, di qualità della vita, di coerenza tra competenze e desideri. E soprattutto parla dello smart working non come un favore concesso dalle aziende, ma come una vera leva di trasformazione territoriale. Se il lavoro non ti obbliga più a vivere dove costano gli affitti, dove mancano spazi di comunità, dove il tempo libero si consuma negli spostamenti, allora rientrare in un borgo non è solo possibile: è sensato.
Il punto è proprio questo: lo smart working cambia la geografia delle opportunità. Permette di progettare nuove forme di vita, di redistribuire valore, di portare energie fresche in luoghi che per decenni hanno visto solo partenze. La storia di Chiara non è un’eccezione; è un’anticipazione di ciò che potrebbe diventare normalità.
C’è anche un dato generazionale interessante. Chiara descrive un piccolo gruppo di coetanei che stanno tornando a Palazzolo: chi sfrutta il lavoro da remoto, chi si reinventa, chi apre attività culturali o microimprese. Sono persone che portano nei borghi stili di vita e pratiche imparate altrove, come eventi, scambi culturali, nuove forme di aggregazione. Un paese da cui si era soli a partire diventa un luogo a cui tornare — e contribuire.
In conclusione, questo episodio è una lente perfetta per osservare cosa accade quando tecnologia, competenze e territorio si incontrano. Lo smart working non è solo organizzazione aziendale: è un’infrastruttura sociale che permette ai borghi di immaginarsi di nuovo.
Puoi vedere l’intervista completa sul sito di ITS Journal:
👉 www.itsjournal.com
Smart Working Magazine è media partner ufficiale dell’iniziativa “Remote Workers for Remote Villages”, promossa da ITS Journal, Nomag Media e Smart Working Magazine.