“Back to the office. And roll up your sleeves.”
La frase suona come una battuta da film degli anni ’80, ma è in realtà il messaggio – duro e chiaro – lanciato ai dipendenti da John Stankey, CEO di AT&T. Un memo interno, finito sulle scrivanie (virtuali e non) di mezza America e poi sui media, annuncia una nuova stagione del lavoro aziendale: meno coccole, più KPI.
Non è un caso isolato. Amazon, Meta, Microsoft… Corporate America sembra decisa a rimettere la cultura del lavoro "hardcore" al centro: tutti in ufficio, cinque giorni su cinque, meno chiacchiere su “work-life balance” e più focus su performance, metriche, risultati.
Ma tutto questo cosa ci dice – veramente – del futuro del lavoro remoto? E soprattutto: ci riguarda?
Una crisi (forse) di crescita
Chi osserva l’evoluzione del lavoro da remoto da un punto di vista europeo – e italiano – deve fare attenzione a non confondere i piani. L’America delle mega corporation ha dinamiche, numeri, e sistemi di welfare profondamente diversi dalle nostre PMI.
Quando Amazon dice “torna in ufficio o vattene”, non sta parlando a un lavoratore del Sud Italia che ha scelto di vivere e lavorare vicino alla propria famiglia dopo anni a Milano o Londra. Sta parlando a eserciti di impiegati, in contesti iperstrutturati dove lo smart working era diventato talvolta un alibi per nascondere disimpegno e stagnazione.
In Italia (e in Europa) il lavoro agile è stato spesso una conquista tardiva, più culturale che tecnologica. Per molti, ha significato accesso a opportunità prima inimmaginabili, riduzione delle disuguaglianze territoriali, nuovo equilibrio tra vita e lavoro.
Siamo davvero all’alba di una controriforma?
Se guardiamo bene, questi segnali “di rientro” negli USA potrebbero rappresentare una purificazione più che una cancellazione. Un ricalibramento. Lo smart working non può (e non deve) essere una zona franca dove vale tutto. L’autonomia richiede maturità, e in molti contesti non c’era.
Ma questo non significa che il lavoro agile sia al tramonto. Anzi. Forse siamo solo all’uscita dalla fase adolescenziale.
Come suggerisce Jennifer Moss, autrice ed esperta di workplace culture, la chiave non è resistere al cambiamento ma trasformarlo: trovare nuovi equilibri, costruire relazioni autentiche anche a distanza, non perdere di vista i propri obiettivi professionali.
PMI italiane: più flessibilità, meno ideologia
Nel nostro Paese, dove le imprese sono spesso familiari, radicate nei territori, e dove la parola "gerarchia" ha ancora un peso, la sfida non è il ritorno al rigore ma l’apertura alla flessibilità intelligente.
Le aziende italiane non sono Amazon, e i nostri lavoratori – abituati a cavarsela tra mille vincoli e mille inventiva – hanno dimostrato una resilienza rara.
Invece di prendere lezioni dal “modello americano”, potremmo sfruttare questo momento per fare un passo avanti: disegnare un lavoro davvero smart, che non sia né tutto da remoto né tutto in presenza, ma basato su fiducia, obiettivi, responsabilità condivisa.
Gioco finito o seconda fase?
Chi oggi dice che il lavoro da remoto è finito forse non ha capito che il vero lavoro, quello più interessante, è appena iniziato.
Sta a noi decidere se vogliamo essere semplici spettatori di una “cultura hardcore” d’oltreoceano o protagonisti di un nuovo modo di pensare e vivere il lavoro.
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