Hai appena pubblicato un annuncio di lavoro su LinkedIn, hai ricevuto decine di CV e, dopo una selezione accurata, pensi di aver trovato la persona giusta. Ma bastano un paio di settimane per renderti conto che qualcosa non quadra. Prometteva grandi competenze, ma i risultati non arrivano. Il problema potrebbe chiamarsi corporate catfishing.
Cos’è il corporate catfishing?
Il termine arriva dal mondo delle app di incontri, dove si usa per descrivere chi si crea un’identità falsa per attirare qualcun altro. Nel lavoro, succede quando qualcuno mente o esagera sul proprio percorso professionale per ottenere un impiego, un contratto o una collaborazione. Ma non sono solo i candidati a comportarsi così. Anche le aziende, soprattutto quelle più giovani o in crescita, tendono a "truccare" le carte pur di attrarre talenti.
Un recente sondaggio della piattaforma Monster ha rivelato che il 67% dei lavoratori conosce almeno un collega che ha mentito per ottenere il suo ruolo. E il 13% ammette apertamente di aver gonfiato il proprio curriculum. Le menzogne più comuni riguardano le mansioni svolte, le competenze tecniche, l’esperienza professionale e i titoli di studio.
Perché questo fenomeno sta crescendo?
Ci sono diversi motivi. Prima di tutto, l’uso dell’intelligenza artificiale ha cambiato le regole del gioco. Sempre più candidati utilizzano strumenti di AI per scrivere lettere di presentazione e CV su misura, spesso copiando direttamente la descrizione dell’annuncio. Questi documenti “perfetti” riescono a superare i sistemi automatici di selezione, ma non sempre corrispondono alla realtà.
Anche il mercato freelance e il lavoro da remoto hanno portato a una maggiore competizione. In un contesto così affollato, molti sentono il bisogno di esagerare per farsi notare: post LinkedIn scritti con ChatGPT, blog da “esperti” creati ad arte, profili che sembrano troppo belli per essere veri.
Dall’altra parte, le aziende non sono immuni. Molte startup, pur di attrarre profili validi, tendono a promettere flessibilità totale, crescita veloce, stipendi competitivi e una cultura aziendale “da sogno”. Peccato che spesso la realtà sia molto diversa.
I rischi, soprattutto per le piccole imprese
In una grande azienda, un’assunzione sbagliata può essere assorbita. Ma per un piccolo imprenditore o una startup con risorse limitate, scegliere la persona sbagliata può compromettere seriamente il lavoro. Il tempo perso, la fiducia tradita e i danni economici non sono sempre recuperabili.
Chi lavora da solo o ha un team ridotto non può permettersi errori in fase di selezione. Ogni nuova risorsa ha un impatto diretto e importante sul business.
Come difendersi?
Serve più attenzione e un approccio concreto. Ecco alcuni consigli utili per non cadere nella trappola del corporate catfishing:
- Scrivi annunci onesti e specifici: evita le frasi fatte tipo “cerchiamo un ninja del marketing”. Spiega bene le responsabilità e cosa ti aspetti davvero da quel ruolo.
- Valuta con prove pratiche: un piccolo test o un progetto pilota può dire molto più di un CV perfetto. Meglio ancora se seguito da un colloquio video, dove puoi valutare anche la comunicazione e il modo di relazionarsi.
- Controlla il background: guarda i lavori precedenti, chiedi referenze, confronta il profilo LinkedIn con quello che viene dichiarato nel CV. Se qualcosa ti sembra strano, probabilmente c’è un motivo.
- Diffida di profili troppo generici o tariffe troppo basse: un freelance con competenze reali sa quanto vale. Prezzi troppo bassi o portfolio troppo "vago" possono essere segnali d’allarme.
- Inserisci una prova o un periodo di prova breve: prima di impegnarti in collaborazioni a lungo termine, verifica sul campo quello che è stato promesso.
Puntare sull’autenticità
Lavorare con persone davvero competenti e affidabili è sempre meglio che lasciarsi impressionare da belle parole. La fretta o la voglia di “chiudere subito” una selezione non devono mai farci abbassare la guardia.
Il mercato è pieno di professionisti validi, ma anche di profili costruiti ad arte. Con qualche accorgimento in più e un po’ di buon senso, è possibile evitare brutte sorprese e creare collaborazioni basate sulla fiducia, non sull’apparenza.