Riportare tutti in ufficio potrebbe non essere la scelta migliore
Il lavoro da remoto non è (necessariamente) una concessione, ma può essere un moltiplicatore di produttività e benessere. Quando hai un'economia sempre più guidata dalla tecnologia e dai risultati, l’obbligo generalizzato di rientro in ufficio somiglia a un riflesso del passato.
Produttività, retention, costi: i numeri che contano
Gli studi internazionali mostrano che, in media, il lavoro da remoto aumenta le performance misurabili, migliora la soddisfazione e riduce il turnover. Le aziende che offrono opzioni flessibili registrano meno dimissioni e risparmiano su spazi e overhead. In Italia, dove milioni di persone passano fino a 1–2 ore al giorno tra tangenziali, metropolitane affollate e treni regionali, liberare tempo di qualità si traduce in più concentrazione, migliore work–life balance e minori assenze.
Benefici sociali visibili
Meno spostamenti significa meno traffico e inquinamento, meno usura delle infrastrutture e città più vivibili. Chi deve per forza muoversi—sanitari, forze dell’ordine, logistica—trova strade e mezzi più scorrevoli. Anche i costi esterni (rumore, stress, incidenti) si riducono.
Impatto territoriale: dall’hub al network
La flessibilità cambia la geografia del lavoro: non è più necessario affollare i centri di Milano, Roma o Bologna spingendo in alto i canoni. Con modelli ibridi ben progettati, le persone possono vivere anche in città medie, piccoli comuni o aree interne, spendendo localmente e contribuendo a servizi, scuole e microimprese. È un volano per la rigenerazione dei territori e riduce la pressione abitativa nei capoluoghi.
Perché allora la resistenza?
Tre fattori ricorrenti:
- Incertezza manageriale: si confonde il controllo visivo con la gestione per obiettivi.
- Retorica della “cultura in presenza”: importante, sì, ma si costruisce con intenzione e rituali, non con il badge.
- Immobili: contratti di locazione lunghi spingono a “riempire le scrivanie”, anche quando i dati dicono che non conviene.
Cosa può fare il decisore pubblico
- Semplificare e incentivare il “lavoro agile” già inquadrato dalla normativa, premiando le assunzioni remote e l’organizzazione per obiettivi.
- Riconversione degli uffici sottoutilizzati in residenze e spazi di comunità, con iter autorizzativi più rapidi.
- Connettività ovunque: accelerare coperture in fibra e FWA; facilitare l’ingresso di provider satellitari dove la rete terrestre non arriva.
- Attrazione di lavoratori internazionali da remoto, con regole chiare su fiscalità, previdenza e sanità per evitare zone grigie.
Cosa devono fare le aziende (subito)
- Passare dal “dove” al “cosa”: definire KPI chiari, cadenzare feedback e retrospettive, misurare output e non sedie occupate.
- Progettare l’ibrido: giornate in presenza con scopo (onboarding, co-design, socialità professionale), niente “martedì obbligatorio” senza senso.
- Formare i capi: gestione da remoto, comunicazione asincrona, strumenti digitali e rituali di team.
- Ripensare gli spazi: meno open space, più sale progetto e aree per workshop; ufficio come “hub di valore”, non come parcheggio.
Non è una moda: è un’infrastruttura del Paese
Il lavoro da remoto—quando è ben disegnato—porta più produttività, meno costi, meno congestione, più equilibrio vita-lavoro, e sostiene la vitalità economica fuori dai grandi centri. L’evidenza c’è: il remote funziona.
È tempo di superare i riflessi condizionati della vecchia normalità e costruire un’economia coerente con l’era digitale: facciamo viaggiare il lavoro, non le persone.