Conciliare lavoro, cura e vita quotidiana non è un esercizio teorico: per migliaia di lavoratrici e lavoratori che assistono un genitore anziano, un figlio con disabilità o un familiare non autosufficiente, è una sfida che incide sulla stabilità economica, sulle relazioni e perfino sulla salute. Dopo la stagione pandemica - che aveva introdotto tutele eccezionali sul lavoro agile - molte garanzie sono rientrate. Ma il quadro normativo non è tornato al punto di partenza: anzi, oggi è più chiaro.
Il cuore della questione si chiama “accomodamento ragionevole”. È previsto dalla Direttiva europea 2000/78/CE, recepita in Italia nel 2003 (D.lgs. 216/2003), ed è ribadito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (legge 18/2009). Nel 2024, con la Riforma della disabilità (D.lgs. 62/2024, art. 17), l’Italia ha introdotto nella Legge 104/1992 il nuovo art. 5-bis, formalizzando il diritto ad adattamenti necessari per consentire alle persone con disabilità l’esercizio effettivo dei propri diritti - incluso il lavoro.
Qual è la novità sostanziale? Che questi adattamenti possono riguardare anche l’organizzazione del lavoro, quindi lo smart working, i turni, gli orari o la distribuzione delle mansioni. Se il datore di lavoro rifiuta senza dimostrare un “onere sproporzionato”, configura una forma di discriminazione, tutelata dalla Legge 67/2006.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 605/2025) lo ribadisce in modo inequivocabile: il lavoro agile può costituire accomodamento ragionevole. E davanti a un giudice l’onere della prova si ribalta: è il datore che deve spiegare perché sarebbe un sacrificio eccessivo.
Ma cosa significa per chi assiste un familiare con disabilità? La giurisprudenza europea ha sciolto il dubbio già da anni e lo ha confermato di recente: anche i caregiver familiari possono rivendicare l’accomodamento ragionevole. Non solo: il rifiuto ingiustificato può configurare una discriminazione “per associazione”.
Sul piano normativo interno, altri tasselli si aggiungono. Grazie al D.lgs. 105/2022, è stato modificato l’art. 33 della Legge 104 introducendo il comma 6-bis, che vieta ogni trattamento meno favorevole verso chi usufruisce dei benefici della 104 — compreso lo smart working. Inoltre, l’art. 18, comma 3-bis della Legge sul Lavoro Agile riconosce la priorità di accesso al lavoro agile non solo ai lavoratori con figli con disabilità grave, ma anche ai caregiver che fruiscono dei permessi 104.
Questa evoluzione normativa non è solo una questione tecnica. Riguarda la tenuta sociale del Paese: molte famiglie oggi stanno in equilibrio perché un membro si fa carico dell’assistenza, spesso sacrificando carriera e reddito. Avere strumenti che permettano di lavorare senza rinunciare alla cura significa ridurre stress, assenze, abbandoni del lavoro e fratture familiari. È anche una questione di produttività: un lavoratore che può conciliare meglio è un lavoratore che rende di più e che resta nel mercato.
Il messaggio, dunque, è chiaro:
il lavoro agile non è un privilegio né un gesto di benevolenza aziendale — è un diritto che contribuisce alla dignità, alla stabilità e alla qualità della vita di chi assiste una persona fragile.
E non riconoscerlo, quando possibile, non è solo una scelta organizzativa: è una violazione.