C’è una domanda che tormenta aziende, HR e lavoratori da almeno cinque anni: dove lavoreremo davvero in futuro?
Non “se” da casa, o “quanto” in ufficio. Ma da dove, fisicamente, decideremo di costruire le nostre vite professionali.
In Italia continuiamo spesso a immaginare lo smart working come un compromesso urbano - due giorni in ufficio, tre ovunque capita, e tanto traffico attorno. Ma la storia raccontata nel sesto episodio della serie Remote Workers for Remote Villages ci suggerisce un cambio di prospettiva più radicale: forse il lavoro da remoto non è nato per liberarci dal pendolarismo, ma per ridarci un luogo.
Florinda e Davide, fondatori di Anima Irpina, sono partiti da qui. Lei cresciuta a Gesualdo, in Irpinia; lui radicato professionalmente a Milano. Entrambi immersi per anni nella logica della grande città: ritmi accelerati, performance continue, vite che scorrono più veloci del pensiero.
E poi, all’improvviso, la domanda che tutti abbiamo sfiorato almeno una volta: “E se esistesse un modo diverso di vivere e lavorare?”
Il loro ritorno a Gesualdo non è stato un gesto romantico, né una fuga. È stato un progetto. Prima la scelta personale, poi l’analisi: infrastrutture che stanno cambiando, con l’alta velocità Napoli–Bari e la stazione Irpinia; quattro aeroporti raggiungibili in poco più di un’ora; un ecosistema culturale, enogastronomico e produttivo che non chiede altro che essere riscoperto.
E così hanno trasformato una cantina abbandonata in uno spazio multifunzionale per eventi, coworking e incontri. Hanno creato un punto di contatto fra chi arriva per qualche giorno e chi sta valutando di rimanere qualche mese. Hanno riportato vita dove c’erano serrande chiuse e ricordi sospesi.
Ma la vera provocazione per il mondo dello smart working è un’altra: non sono tornati da soli.
Come raccontano nell’intervista, oggi sempre più giovani professionisti — architetti, informatici, economisti — stanno lasciando Milano, Torino, Bologna e perfino Londra per tornare a vivere in Irpinia, lavorando da remoto per aziende globali.
Un movimento silenzioso, sottotraccia, che sfugge alle statistiche ma anticipa un futuro possibile.
E allora la domanda cambia ancora:
Se non servono più le città per produrre valore, perché continuiamo a immaginare la nostra vita attorno ad esse?
Perché non immaginare che borghi come Gesualdo diventino hub di qualità della vita, nodi di equilibrio fra lavoro, comunità e possibilità economiche?
Il punto non è ritirarsi nel silenzio della provincia, ma liberare il lavoro da remoto dal suo equivoco originario: non è un benefit, né una comodità post-pandemica. È un’infrastruttura culturale che ci permette di rimettere le persone al centro della propria geografia.
L’esperienza di Florinda e Davide ci mostra che il ritorno non è regressivo, ma evolutivo.
Che la distanza dai centri può diventare un vantaggio competitivo.
Che la vera sfida dello smart working non è “convincere i dipendenti a tornare in ufficio”, ma capire come creare i luoghi giusti perché le persone scelgano dove vivere e lavorare al meglio.
E forse, guardando all’Irpinia, ci accorgiamo che il futuro del lavoro non sta nelle metropoli iperconnesse, ma nei luoghi che sembravano rimasti indietro — e che oggi, proprio grazie al remoto, tornano al centro della mappa.
L’intervista completa dell’Episodio 6 – Anima Irpina è disponibile a questo link sul sito di ITS Journal.
Smart Working Magazine è media partner della serie Remote Workers for Remote Villages.