Negli anni post-pandemia molti avevano dato per morto il viaggio di lavoro.
In realtà, ha solo cambiato pelle — e direzione.
Non si viaggia più per lavorare, ma si viaggia con il lavoro: una differenza semantica che spiega più di qualsiasi grafico sull’evoluzione dello smart working.
Oggi professionisti, manager e freelance si muovono per vivere e lavorare in contesti che favoriscono ispirazione, relazioni e benessere. Le città che un tempo erano mete di “duty trip” — Londra, Parigi, Berlino — convivono con nuovi poli come Lisbona, Atene, Palermo, o Funchal, dove il concetto di mobilità lavorativa è diventato parte della cultura urbana.
Le aziende, dopo anni di conference call e schermi condivisi, stanno riscoprendo il valore dell’incontro fisico: ma con logiche diverse.
Meno eventi formali, più esperienze ibride; meno viaggi lampo, più permanenze di medio periodo; meno “trasferta”, più “connessione”.
È il nuovo linguaggio del workation, del bleisure, di quella miscela di produttività e piacere che oggi rappresenta la normalità del lavoro globale.
La spinta dei cosiddetti nomadi digitali ha accelerato questo cambiamento culturale: non tanto per i visti o gli incentivi, ma per la mentalità.
Chi lavora da remoto non separa più vita e professione, ma le intreccia in un flusso continuo in cui la geografia diventa parte della strategia.
La destinazione non è solo sfondo, ma contesto produttivo: coworking, hub creativi, community locali, coliving.
Il viaggio non interrompe il lavoro: lo amplifica.
Anche il mondo MICE (Meetings, Incentives, Conferences, Exhibitions) sta vivendo una metamorfosi.
Il modello dei grandi centri congressi lascia spazio a format diffusi, a esperienze più autentiche e sostenibili.
Secondo le ultime proiezioni, il mercato globale supererà 1.400 miliardi di dollari entro il 2028, ma non grazie ai voli intercontinentali o ai meeting di massa: a far crescere il settore saranno i nuovi ecosistemi del lavoro mobile, dove i professionisti si incontrano per imparare, creare e condividere.
In questo scenario, “viaggiare con il lavoro” non è più un privilegio, ma una competenza: sapersi muovere tra culture, fusi orari e contesti diversi mantenendo equilibrio e produttività.
È la risposta naturale a un mondo che non ha più un centro, ma tanti nodi connessi tra loro.
Il business travel, dunque, non è finito.
Ha solo cambiato biglietto: stesso nome, ma destinazione diversa.