Dai dati di LiveCareer alle scelte individuali: perché smettere di lavorare non significa smettere di crescere
Per anni, i selezionatori hanno avuto un riflesso quasi automatico: un “buco” nel curriculum e subito partivano le domande scomode. Era un’anomalia, un segnale di rischio, qualcosa da spiegare in fretta e in modo convincente.
Oggi, però, i numeri raccontano un’altra storia. Secondo l’analisi di 7 milioni di CV condotta da LiveCareer, nel 2025 solo la metà dei lavoratori italiani presenta un percorso senza interruzioni. L’altra metà ha dei gap. In particolare, un terzo dei candidati ha almeno un anno di pausa, e quasi il 40% si è fermato per sei mesi o più.
Certo, stiamo parlando di una ricerca corporate – i dati vanno presi con cautela – ma la direzione è evidente: la linearità non è più la regola. Il mondo del lavoro è diventato più fluido, discontinuo, frammentato. E i curriculum si stanno adeguando.
Dalle “Grandi Dimissioni” alla normalità delle interruzioni
La stagione delle Grandi Dimissioni ha aperto una crepa culturale. Migliaia di persone – soprattutto giovani – hanno lasciato il lavoro senza avere già un altro contratto pronto. Lo hanno fatto perché potevano permetterselo, perché volevano cambiare rotta, o perché avevano bisogno di tempo per studiare, viaggiare, ripensare la propria vita.
In passato, la pausa era quasi esclusivamente associata alle donne, alla maternità o al caregiving. Oggi è un fenomeno molto più trasversale. Le interruzioni toccano uomini e donne, ventenni e cinquantenni, professionisti e operai. Non sono più un’eccezione: sono entrate nella nuova normalità.
Eppure, il linguaggio dei colloqui e delle selezioni non sempre ha fatto lo stesso salto. “Perché non hai lavorato in quel periodo?” resta una domanda standard, spesso caricata di sospetto.
Il paradosso della flessibilità
Il mercato del lavoro chiede mobilità, resilienza, capacità di apprendere e ripartire da zero. Ma allo stesso tempo tende a guardare con diffidenza chi ha effettivamente esercitato queste scelte. Un paradosso che blocca sia i candidati sia i recruiter.
La verità è che una pausa non è mai “tempo perso”. Può essere un periodo di formazione, di sperimentazione, di freelance, di volontariato, di viaggio. O semplicemente un momento per fermarsi e capire dove si vuole andare. Non è un vuoto: è un pezzo di biografia.
Se ce lo si può permettere
La domanda centrale è: perché prendersi una pausa viene ancora percepito come un problema? La risposta è duplice.
Da un lato c’è la dimensione economica: non tutti possono permettersi di interrompere il lavoro per mesi. Dall’altro c’è un retaggio culturale: ammettere di non aver lavorato è visto come un difetto, un cedimento, un errore di pianificazione.
Eppure, se la pausa è stata una scelta consapevole e sostenibile, perché dovrebbe essere un difetto? Non si tratta di negare la realtà, ma di raccontare come quel tempo ha contribuito a maturare nuove prospettive e competenze.
Un nuovo approccio al CV
Il curriculum lineare appartiene a un’altra epoca. Oggi, più che mai, conta la capacità di spiegare come i momenti di stop abbiano arricchito la persona. Non solo “cosa hai fatto”, ma “cosa hai capito”.
Sempre più candidati inseriscono i gap come esperienze:
- “Sabattical year dedicato a formazione e volontariato internazionale”
- “Periodo di supporto familiare, sviluppando competenze organizzative e di cura”
- “Progetto personale di ricerca e scrittura”
Non è maquillage, è storytelling autentico.
Il nuovo standard di valutazione
Se metà dei CV contiene interruzioni, i filtri automatici che scartano i profili non lineari non hanno più senso. Significa escludere a priori metà del mercato. Un lusso che nessuna azienda può permettersi.
Serve un cambio di paradigma: non penalizzare il buco, ma leggere cosa c’è dentro. Perché spesso in quelle pause si sviluppano proprio le soft skill che le imprese dichiarano di ricercare: adattabilità, resilienza, motivazione.
E allora la vera domanda da portare nei colloqui non è più: “perché non hai lavorato in quel periodo?”.
Ma piuttosto: “cosa hai scoperto di te stesso mentre non lavoravi?”.