Inizia a prendere piede l'idea di poter delegare all'intelligenza artificiale la partecipazione alle videocall. Tra vantaggi operativi e dilemmi etici, il confine tra efficienza e alienazione si fa sottile.
Clifton Sellers, titolare di un’agenzia di comunicazione, ha partecipato recentemente a una riunione online in cui i bot superavano in numero le persone. Su sedici partecipanti, dieci erano applicazioni di intelligenza artificiale incaricate di registrare, trascrivere e riassumere l’incontro. Alcuni di questi strumenti erano semplici supporti per chi era presente, altri invece sostituivano completamente esseri umani che avevano scelto di non collegarsi.
«Voglio parlare con persone, non con dei blocchi note virtuali» ha dichiarato Sellers in un’intervista-sfogo al Washington Post, pur ammettendo di aver mandato anche lui un bot al proprio posto in più di un’occasione.
Le esperienze come la sua stanno diventando sempre più frequenti. L’ascesa dell’intelligenza artificiale negli ambienti professionali sta ridefinendo la partecipazione agli incontri, proponendo soluzioni rapide per risparmiare tempo — ma sollevando anche interrogativi sull’etichetta digitale, la trasparenza, la qualità della comunicazione e il senso stesso di molte riunioni.
Presenze virtuali, assenze reali
Le principali piattaforme di videoconferenza — da Zoom a Microsoft Teams, fino a Google Meet — integrano oggi funzionalità di trascrizione e riassunto automatico. A queste si aggiungono applicazioni indipendenti come Otter.ai e Fathom, che permettono agli utenti di inviare “agenti AI” a partecipare per loro. Persino ChatGPT offre una modalità di registrazione riunioni.
Al momento, questi assistenti virtuali non sono ancora in grado di interagire o prendere decisioni, ma aziende del settore — riferisce il Washington Post — stanno già lavorando a “gemelli digitali” in grado di partecipare attivamente in rappresentanza degli utenti.
Questa trasformazione non si limita all’aspetto tecnico. Secondo Allie K. Miller, amministratrice delegata della società Open Machine, la registrazione pervasiva sta modificando il comportamento umano. «È cambiato tutto, dalle feste universitarie alle sale riunioni», ha detto. Miller ha raccontato di essere rimasta scioccata quando un collega ha registrato una conversazione privata senza preavviso. «Mi sono sentita completamente violata. Non perché avessi detto qualcosa di sbagliato, ma perché non avevo scelto di condividere quella conversazione.»
Il lato oscuro della trasparenza
Miller ha adottato una strategia personale: disattivare l’assistente AI negli ultimi cinque minuti di ogni riunione. Secondo lei, è in quel momento che «le persone si rilassano, si aprono e fanno le domande vere». Ma la consapevolezza dei rischi non è ancora diffusa.
Liz Henderson, consulente strategica nel Regno Unito, ha raccontato di essersi trovata in una situazione imbarazzante durante un’assemblea aziendale, quando è stata mostrata pubblicamente la trascrizione di una riunione a cui aveva partecipato, senza che fosse chiaro fosse stata registrata. «Ho pensato: cosa ho detto in quel meeting che ora è visibile a centinaia di persone?»
In seguito ha chiesto che il documento venisse reso privato.
I regolamenti sulla privacy variano a seconda della giurisdizione. Mentre in alcuni Paesi basta il consenso di una sola parte per registrare una conversazione, altri richiedono l’accordo di tutti i partecipanti. In Italia e nell’Unione Europea, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) impone condizioni più rigorose, con il diritto alla cancellazione dei dati personali. Ma intanto i dati (e le parole) girano e il danno può essere difficile da evitare, soprattutto se queste riunioni sono 'private' o contengono informazioni essenziali come, per esempio, riunioni di un board.
Ma la questione tecnica complica il quadro: alcune app di note-taking non appaiono tra i partecipanti alla riunione, limitando la trasparenza e rendendo difficile accorgersi della loro presenza.
Informazioni ovunque, attenzione da nessuna parte
Neal Shah, fondatore di un’azienda di assistenza agli anziani, ha dichiarato di usare regolarmente gli assistenti AI per documentare le riunioni, ma riconosce un effetto collaterale significativo: «Sto accumulando una montagna di trascrizioni da cui è difficile trarre informazioni davvero utili. Quando c’è un eccesso di dati, il significato si perde».
Più in generale, molti si chiedono se inviare un bot a una riunione sia un segno di efficienza o piuttosto di disinteresse.
«Se vedo una fila di bot collegati a un incontro, la prima domanda che mi faccio è: questo meeting era davvero necessario? O bastava un’email?».
Quando serve il contributo reale delle persone, è fondamentale dirlo chiaramente.
«Dobbiamo prendere una decisione importante, ho bisogno che ci siate tutti, di persona».
Umani o registratori?
Il confine tra delega e assenza si fa sempre più sottile. Le tecnologie AI permettono di documentare tutto, ma non sostituiscono la spontaneità, la creatività e il confronto diretto.
Forse la vera sfida non sarà più come partecipare a una riunione, ma se partecipare. E soprattutto, come farlo restando presenti — davvero.