L’ennesima ondata di licenziamenti nel settore tech porta questa volta un argomento nuovo sul tavolo: la cultura organizzativa. Amazon ha annunciato il taglio di circa 14.000 posizioni nel mondo e, secondo il CEO Andy Jassy, la decisione non ha nulla a che fare con crisi finanziarie o con l’avanzata dell’intelligenza artificiale. Il problema, sostiene, è la perdita di “ownership” e la necessità di tornare a operare “come la più grande startup del mondo”.
Una motivazione che ha attirato l’attenzione globale: può davvero la cultura essere un motivo valido per licenziare?
La spiegazione ufficiale: troppi livelli, poca leadership
Durante l’ultima earnings call Jassy ha indicato come un organigramma troppo esteso “indebolisca il senso di responsabilità di chi fa il lavoro vero” e rallenti la leadership.
Per mantenere un assetto “snello”, Amazon vuole ridurre livelli e funzioni.
Un messaggio che però contrasta con quanto dichiarato solo due giorni prima, quando l’azienda aveva spiegato le riorganizzazioni come una manovra di agilità strategica in vista dell’espansione dell’AI.
Culture first? Una lettura che apre più domande che risposte
Non è la prima volta che Amazon effettua tagli massicci. Ma questa è la prima volta in cui l’argomento centrale non è il business, il mercato o la tecnologia, bensì la cultura interna.
Un tema particolarmente sensibile, considerando che la reputazione di Amazon è da sempre associata a ritmi intensi, pressioni elevate e un turnover globale che, secondo Morning Star, supera il 150% annuo.
Negli ultimi mesi, inoltre, alcuni dipendenti hanno interpretato il nuovo ritorno obbligatorio in ufficio per cinque giorni a settimana come una forma di quiet firing: una strategia indiretta per spingere fuori chi non si allinea.
Lezioni (vere) per le piccole imprese
Per una PMI, licenziare per “cultura” non è solo rischioso: è pericoloso.
È una motivazione troppo vaga, facilmente contestabile, e in grado di aprire la strada a cause per unfair dismissal o discriminazione.
Ma il caso Amazon offre comunque uno spunto utile.
1. La chiarezza organizzativa è un asset.
Le imprese crescono meglio quando ogni assunzione ha un ruolo chiaro, misurabile e con un reale mandato decisionale. Le “sovrastrutture” non fanno male solo ai colossi.
2. La cultura non si impone per decreto.
Licenziare “per cultura” rischia di distruggere la cultura stessa: mina la fiducia, riduce l’engagement e rafforza l’idea che i valori aziendali siano uno slogan, non un comportamento.
3. La dimensione conta, ma i problemi sono gli stessi.
Se per una big tech il rischio è la burocrazia interna, per una PMI il pericolo opposto è sovraccaricare poche persone con troppe responsabilità, creando inefficienza e burnout.
Il punto cruciale
La mossa di Amazon, al netto della comunicazione, è chiaramente una riorganizzazione strutturale. Ma il dibattito che accende è centrale anche per chi gestisce team più piccoli:
la cultura non può diventare una motivazione “ombrello” per qualsiasi scelta difficile.
La trasparenza sì.
In un mercato dove la mobilità del lavoro e il lavoro ibrido ridisegnano continuamente le organizzazioni, l’unica strategia sostenibile è costruire team snelli, chiari e responsabilizzati — senza cercare scorciatoie semantiche quando arrivano le decisioni complesse.