Dall’emergenza alla normalità (con regole, numeri stabili e una nuova variabile: l’AI)
Non è finito lo smart working. È finita la narrazione “da trend”
Per anni abbiamo raccontato il lavoro remoto come un pendolo: prima rivoluzione, poi controrivoluzione, poi “tutti in ufficio”, poi di nuovo “no, aspetta”. Il 2025 è l’anno in cui quel pendolo rallenta. Non perché tutti abbiano trovato la formula perfetta, ma perché il lavoro ibrido entra in una fase di equilibrio: meno ideologia, più gestione.
A livello globale, le ricerche su più Paesi raccontano proprio questo: dopo il calo post-picco pandemico, i livelli di lavoro da casa si stabilizzano (non tornano a zero). È un segnale tipico di maturità: il fenomeno smette di crescere “per inerzia” e diventa una scelta progettata, con trade-off espliciti.
Italia: più “mestiere”, meno improvvisazione
In Italia il 2025 è stato anche l’anno della normalizzazione amministrativa. Non è un dettaglio da addetti ai lavori: quando una pratica si consolida, lo Stato smette di trattarla come eccezione e la incastra nei flussi ordinari.
Un esempio concreto è il nuovo perimetro delle comunicazioni obbligatorie: dal 12 gennaio 2025 scatta il termine di 5 giorni per comunicare l’avvio/variazioni del lavoro agile nel privato, chiarito dalla Circolare 6/2025 e collegato alle modifiche del “Collegato Lavoro”. È burocrazia, sì — ma è anche “istituzionalizzazione”: lo smart working non è più una deroga, è un regime gestibile e tracciabile.
Sul fronte dei numeri, l’Italia mostra un’altra dinamica tipica della maturità: crescita lieve, non esplosiva, e soprattutto differenze nette tra settori. Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2025 gli smart worker sono circa 3,575 milioni (+0,6%), con traino della PA (+11%) e una quota molto forte nelle grandi imprese (circa 53% del personale). Al contrario, nelle PMI e micro imprese si osserva una contrazione. Traduzione: il “modello” esiste, ma la sua adozione dipende da cultura manageriale, processi e investimenti.
Il mondo: l’ibrido come compromesso stabile (e misurabile)
Fuori dall’Italia, il 2025 ha reso sempre più evidente un fatto: il dibattito “remote sì/remote no” è spesso una guerra culturale, mentre i dati mostrano un compromesso pratico. Studi e osservatori internazionali indicano che la media globale di giorni in WFH tende a stabilizzarsi attorno a circa 1 giorno a settimana (con forti differenze tra aree: più diffuso nelle economie anglosassoni avanzate, molto meno in parte dell’Asia).
Questo equilibrio non significa che le aziende non spingano sul rientro. Significa che, lato lavoratori e mercato, la flessibilità è ormai percepita come componente della proposta di valore. Nel Regno Unito, ad esempio, ricerche e sintesi giornalistiche nel 2025 descrivono un ibrido “di fatto” più resistente delle ondate di return-to-office.
Il vero spartiacque del 2025: l’AI entra nei processi (e quindi nelle policy)
Se il 2020–2022 hanno reso possibile lavorare ovunque, il 2025 rende inevitabile chiedersi come lavoriamo e con quali strumenti. La variabile decisiva è l’AI: non come slogan, ma come infrastruttura operativa.
Da un lato, i grandi player hanno messo nero su bianco che il lavoro sta entrando in una nuova fase organizzativa (Microsoft parla di “Frontier Firm”, con ridefinizione di ruoli, flussi e responsabilità).
Dall’altro lato, emerge un problema molto “adulto”: la governance. Un dato che colpisce è l’uso diffuso di strumenti AI non approvati (“shadow AI”), con rischi su dati, compliance e proprietà intellettuale.
E qui si chiude il cerchio con la maturità dello smart working: quando il lavoro è distribuito, anche gli strumenti lo diventano — e l’azienda deve passare dal controllo per presenza al controllo per policy, abilitazione e responsabilità.
I trend che definiscono la maturità (non la moda)
Nel 2025 si vedono quattro trend “strutturali” più che estetici:
- Hybrid by default, ma con regole chiare: giornate, obiettivi, rituali, strumenti, accountability. (Meno “quando vuoi”, più “come lavoriamo bene”.)
- Differenziazione per ruoli: lo stesso modello non funziona per tutti; cresce la segmentazione (ruoli fully remote, ruoli ibridi, ruoli on-site).
- Spazi terzi e infrastrutture locali: coworking, hub, biblioteche, luoghi ibridi; la geografia del lavoro cambia e diventa tema di territori (non solo HR).
- AI come competenza di base + rischio operativo: formazione, policy, strumenti aziendali, e un patto chiaro su dati e sicurezza.
Quindi: è vero che il 2025 è l’anno della maturità?
Sì, con una precisazione: non è “maturità” perché tutto è risolto. È maturità perché:
- i numeri smettono di oscillare in modo isterico e trovano un piano;
- le regole diventano ordinarie (e verificabili);
- la conversazione si sposta da dove lavori a come produci valore (con strumenti, processi, salute organizzativa).
Il 2026, per molte aziende, non sarà l’anno in cui “si decide se fare smart working”. Sarà l’anno in cui si decide se si è capaci di gestirlo: con metriche sane, leadership distribuita, e tecnologie (AI inclusa) governate — non subite.
Se vuoi, posso anche chiudere il pezzo in perfetto formato “Smart Working Magazine” con box operativi finali (“Cosa fare in azienda a gennaio”, “Checklist policy AI + lavoro ibrido”, “Errori da evitare”), mantenendo la stessa linea editoriale.