Mentre nel mondo anglosassone si discute di quattro giorni lavorativi e diritto alla disconnessione, c’è chi – negli Stati Uniti – ha deciso di guardare altrove, verso la Cina. È lì che, anni fa, prese piede il famigerato modello 996: lavorare dalle 9 di mattina alle 9 di sera, sei giorni su sette. Settantadue ore settimanali, glorificate come formula segreta per crescere più in fretta.
Un flirt pericoloso con il diavolo, che ha prodotto non pochi danni: burnout, malattie, morti improvvise. Non a caso nel 2021 la Corte Suprema cinese ne dichiarò l’illegalità. Ma, come spesso accade, i miti non muoiono per decreto: il 996 continua a serpeggiare tra le startup più aggressive della Silicon Valley, soprattutto nel settore AI, come fosse un distintivo di coraggio o di appartenenza a un’élite di lavoratori “duri e puri”.
Il mito del sacrificio totale
Dietro il fascino del 996 si nasconde un’idea antica e pericolosa: il successo si misura in ore passate a lavorare. Più ne fai, più vali. Chi non regge, resta indietro. È una forma di machismo imprenditoriale, una competizione a chi resiste di più, che confonde resistenza fisica con visione strategica.
Eppure la realtà è meno epica: giornate infinite non producono genialità, ma errori, turnover, stanchezza cronica. Aziende che pensano di crescere accelerando in questo modo finiscono spesso per deragliare.
E in Italia?
Qui il 996 non sembra un rischio reale... anzi! Non perché siamo più illuminati o rispettosi del work-life balance, ma per un motivo culturale più profondo: in Italia il sacrificio estremo raramente viene visto come badge d’onore. Anzi, negli ultimi anni si nota l’effetto opposto.
Mentre in America ancora resiste la retorica del “chi dorme perde”, nel nostro Paese – anche nel mondo startup – il lavorare fino a tardi non viene più celebrato, semmai guardato con sospetto. La percezione diffusa è che un imprenditore che si vanta delle sue 72 ore settimanali non sia un eroe, ma uno che non ha organizzato bene il lavoro.
C’è di più: in Italia il rischio non è l’eccesso, ma la scarsità di immersione. Talvolta sembra che non ci sia sufficiente intensità nel far partire e consolidare i progetti. Come se la sostenibilità fosse confusa con la comodità, e il “non bruciarsi” diventasse un alibi per non spingere abbastanza.
Il paradosso italiano
Il paradosso è evidente: mentre all’estero il problema è la glorificazione del superlavoro, in Italia rischiamo di non riconoscere che ogni iniziativa imprenditoriale, almeno nelle fasi iniziali, richiede una dose inevitabile di full immersion. Non 996 per sempre, certo, ma settimane o mesi di dedizione totale, in cui il confine tra lavoro e vita privata si assottiglia.
È lì che si costruisce la spinta iniziale, la cultura del team, l’energia che fa la differenza tra un’idea e un’azienda vera. Senza questo slancio, molti progetti muoiono ancora prima di nascere, oppure restano a un livello artigianale che non scala mai.
Equilibrio, non estremi
La lezione non è né importare il 996, né cullarci nella retorica del “meglio meno ma meglio” quando diventa sinonimo di immobilismo. La vera sfida è costruire modelli sostenibili ma ambiziosi:
- accettare che nelle fasi iniziali serva una spinta extra;
- evitare che quella spinta diventi lo standard permanente;
- creare organizzazioni in cui la produttività non si misuri sulle ore, ma sugli impatti.
Lo smart working, in questo senso, è un’ottima palestra. Permette flessibilità, ma richiede anche disciplina, obiettivi chiari e responsabilità condivisa. Senza queste condizioni, rischia di degenerare in relax prolungato, più che in lavoro intelligente.
Una via italiana?
Forse la via italiana non è né il culto del sacrificio estremo, né l’indolenza di chi aspetta che le cose maturino da sole. Potrebbe essere quella di un realismo mediterraneo: sapere che ci sono momenti in cui bisogna spingere, senza vergognarsene, e altri in cui fermarsi è indispensabile.
Un modello che non imita la Silicon Valley né la Shenzhen digitale, ma che riconosce i nostri limiti e valorizza le nostre forze: creatività, resilienza, capacità di intrecciare vita e lavoro senza bruciarle entrambe.
In fondo, flirtare con il diavolo può sembrare attraente per qualche startup a stelle e strisce. Ma da noi la tentazione è un’altra: non addormentarci nell’illusione che basti l’equilibrio, senza mai passare dalla fatica necessaria che precede ogni crescita.