Quando un manager italiano sbarca al vertice di un colosso francese del lusso, la notizia fa rumore. Ma se quel manager è Luca de Meo – pugliese di Locorotondo, cresciuto tra Toyota, Fiat, Volkswagen e Renault – l’eco è ancora più forte. Oggi è alla guida di Kering, holding che controlla marchi come Gucci, Balenciaga e Saint Laurent, con un mandato chiaro: rimettere in moto un gigante in fase di stallo.
De Meo non è un improvvisatore. Le sue regole di gestione, codificate anche in uno studio della Harvard Business School, parlano chiaro:
- 65 ore di lavoro a settimana, sei giorni su sette.
- Mai più di 12 persone a riunione, durata massima un’ora.
- WhatsApp sopra le email, perché la comunicazione dev’essere diretta, veloce, senza fronzoli.
- Mai parlare male dei colleghi, semmai di sé stessi, in chiave di autoironia.
Un approccio che suona quasi spartano, eppure ha permesso a de Meo di ritagliarsi una reputazione internazionale. Il suo mantra personale è diventare “più puntuale di un tedesco, più disciplinato di un giapponese e più resistente al Maotai di un cinese”.
Manager vs. smart working
In tempi in cui il dibattito sul lavoro ruota intorno a work-life balance, flessibilità e riduzione del burnout, la ricetta di de Meo sembra controcorrente. 65 ore settimanali non sono certo il sogno di chi spinge per la settimana corta, ma il caso Kering mostra come i modelli di leadership non siano mai un copia-incolla.
Per aziende in crisi, serve disciplina. Per team creativi, forse più spazio di respiro. Il punto è che le regole vanno sempre lette dentro un contesto.
La prima mossa: riorganizzare Gucci
Appena arrivato, de Meo ha nominato Francesca Bellettini presidente e CEO di Gucci. Una manager esperta, rispettata, che dovrà riportare la maison fiorentina – per anni motore di crescita del gruppo – al centro della scena. È un segnale chiaro: organizzazione snella, talenti in prima linea, zero compromessi sui risultati.
E noi, cosa impariamo?
La lezione di de Meo per il mondo del lavoro italiano non è tanto copiare il modello “65 ore”, quanto capire che regole semplici e disciplina chiara creano ordine in contesti complessi. Eliminare il rumore di fondo (troppe email, troppe riunioni, troppe persone intorno al tavolo) è già una forma di smart working, anche dentro un ufficio tradizionale.
Nel 2025 non serve essere CEO di un colosso del lusso per applicare queste idee. Vale per un imprenditore in provincia, per un team di consulenza o per una startup digitale: la produttività non è fare di più, ma fare meglio, con meno dispersione.
Forse la vera provocazione di de Meo è questa: non è la quantità di ore, ma la qualità delle regole a fare la differenza.