In un mondo del lavoro sempre più complesso, parlare di benessere mentale significa affrontare il cuore della cultura organizzativa. Non bastano più benefit accessori o servizi “una tantum”: ciò che serve davvero è ricostruire un sistema di ascolto autentico, capace di dare voce al malessere che spesso si annida sotto la superficie della performance.
Secondo un recente studio condotto su 15 grandi aziende italiane, il tasso di engagement oggi si attesta attorno al 4%, mentre il turnover raggiunge il 42%. Dati che rivelano una frattura profonda tra impresa e persone, e che mettono in discussione l’efficacia di molti modelli di wellbeing finora adottati.
L’ascolto organizzativo come leva strategica
Tra i risultati più interessanti emersi dall’analisi, si evidenzia come la presenza di percorsi strutturati di ascolto organizzativo — attraverso strumenti continuativi e relazioni di fiducia — possa triplicare l’engagement e aumentare di quasi cinque volte la percentuale di collaboratori “felici”.
Non si tratta solo di offrire supporto psicologico individuale, ma di agire sulla prevenzione e sulla qualità delle relazioni all’interno dei contesti lavorativi. Le problematiche personali, infatti, spesso si riversano nella sfera professionale, dando origine a dinamiche disfunzionali, incomprensioni e insoddisfazione crescente.
Generazioni diverse, bisogni diversi
Lo studio ha rilevato anche differenze significative tra le generazioni.
- I più giovani (Gen Z e Millennial under 30) faticano a interpretare le dinamiche organizzative e spesso si sentono disorientati nei primi anni di carriera.
- Chi ha tra i 30 e i 50 anni manifesta difficoltà nella conciliazione tra carichi familiari e lavoro, accompagnate da sensi di colpa e frustrazione.
- Gli over 50, invece, si confrontano con un senso di smarrimento identitario e con la fatica di vedere riconosciuto il proprio valore all’interno dell’organizzazione.
Questi dati suggeriscono che il benessere non può più essere pensato come un’azione standardizzata, ma va personalizzato, differenziato, calibrato sul ciclo di vita professionale e personale.
Tre azioni chiave per un nuovo approccio al benessere
Dall’analisi emergono tre direzioni strategiche che ogni azienda dovrebbe considerare:
- Affrontare il malessere, non delegarlo
- Il benessere non può essere esternalizzato. Le aziende devono affrontare le cause del disagio e trasformare l’ascolto in una leva per la crescita condivisa.
- Costruire una rete continua di ascolto
- Serve dotarsi di strumenti multipli, canali aperti e momenti di confronto continuativi, capaci di accogliere esigenze diverse e trasformarle in visione.
- Formare manager come agenti di benessere
- Le figure di coordinamento giocano un ruolo cruciale. Dotarle di competenze relazionali e allineare i sistemi di valutazione ai valori del benessere è fondamentale per costruire fiducia e favorire un clima organizzativo positivo.
Dal sintomo alla cultura
La sfida più grande non è inserire un servizio, ma cambiare mentalità.
Fare del benessere un elemento strutturale della cultura d’impresa, e non un’aggiunta marginale.
Investire in ascolto significa non solo prendersi cura delle persone, ma dare loro la possibilità di contribuire con autenticità e motivazione alla vita organizzativa.
In un tempo in cui la produttività è spesso considerata una metrica fredda, il ritorno alla relazione e all’umano diventa un atto profondamente strategico.
E forse, anche profondamente necessario.