L’8 e 9 giugno gli italiani voteranno su licenziamenti, contratti a termine e appalti: le riforme proposte potrebbero però scontrarsi con la natura flessibile dello smart working
Il prossimo 8 e 9 giugno 2025, gli italiani saranno chiamati a esprimersi su quattro referendum abrogativi riguardanti il diritto del lavoro. Promossi dalla CGIL, i quesiti mirano a modificare alcune delle norme più discusse introdotte dal Jobs Act, tra cui quelle su licenziamenti, contratti a termine e appalti.
Sebbene i quesiti non menzionino espressamente lo smart working, è inevitabile domandarsi quale possa essere l’impatto su questa modalità lavorativa, che ha fatto della flessibilità il suo principio cardine. Le riforme proposte sembrano orientate a rafforzare la rigidità contrattuale e le tutele formali, spesso in contrasto con le logiche più agili e decentralizzate del lavoro da remoto.
1. Reintegro per licenziamento illegittimo
Cosa si chiede:
Cancellare le norme del Jobs Act che limitano il reintegro e reintrodurre la possibilità per il giudice di ordinare il ritorno al posto di lavoro per chi viene licenziato senza giusta causa.
Implicazioni:
Oggi, chi è assunto con contratto a tutele crescenti riceve solo un’indennità economica. Il referendum mira a tornare a un sistema più protettivo.
Conseguenze per lo smart working:
Una tutela rigida come il reintegro può rendere i datori di lavoro più prudenti nel concedere autonomia e fiducia, elementi centrali nello smart working. Il rischio è che, in un contesto di maggior rischio legale, le aziende preferiscano modelli tradizionali più controllabili e gerarchici.
2. Indennità più alte per i licenziamenti nelle piccole imprese
Cosa si chiede:
Eliminare il tetto massimo di sei mensilità per i risarcimenti ai lavoratori licenziati illegittimamente nelle PMI.
Implicazioni:
Il giudice avrebbe più margine per modulare il risarcimento. Un cambiamento che intende rafforzare le tutele anche nei contesti aziendali più fragili.
Conseguenze per lo smart working:
Le piccole imprese — già meno inclini allo smart working per ragioni organizzative — potrebbero vedere nell’aumento dell’esposizione economica un disincentivo ulteriore a sperimentare modalità flessibili e decentralizzate di lavoro.
3. Causali obbligatorie per i contratti a termine
Cosa si chiede:
Reintrodurre l’obbligo di specificare la causale già dal primo giorno di un contratto a tempo determinato.
Implicazioni:
Attualmente, è possibile stipulare contratti a termine “liberi” per i primi 12 mesi. Con il “Sì”, servirebbe sempre una giustificazione documentata per il contratto.
Conseguenze per lo smart working:
Molti progetti in smart working si reggono su contratti a termine, flessibili e rapidi da attivare. Introdurre obblighi rigidi sulle motivazioni potrebbe limitare la possibilità per aziende e lavoratori di attivare collaborazioni agili e su misura, snaturando le potenzialità del lavoro agile.
4. Responsabilità solidale negli appalti
Cosa si chiede:
Estendere la responsabilità solidale del committente per infortuni e malattie professionali ai lavoratori dell’appaltatore.
Implicazioni:
Il committente diventerebbe co-responsabile per eventuali violazioni, anche se i lavoratori non sono suoi dipendenti diretti.
Conseguenze per lo smart working:
Lo smart working viene spesso adottato in contesti di esternalizzazione (call center, sviluppo software, servizi IT). Se le aziende devono rispondere di ogni aspetto legale dei lavoratori in appalto, potrebbero ridurre gli affidamenti a distanza, rendendo il lavoro da remoto meno accessibile nei contesti esterni.
Un’idea di lavoro più rigida, lontana dallo smart working?
Il comune denominatore dei quesiti referendari è il rafforzamento delle tutele tradizionali: reintegro, indennità giudiziali, responsabilità solidale. Una visione legittima, ma che riflette una cultura del lavoro fondata sulla centralità del contratto standard e della presenza fisica, più che sulla flessibilità e sull’autonomia.
Lo smart working, invece, richiede fiducia, obiettivi misurabili, capacità organizzativa. L’inasprimento delle regole rischia di riportare il baricentro su un modello di lavoro “difensivo”, dove la prudenza legale supera l’innovazione organizzativa.
È probabile che chi ha proposto i referendum non abbia considerato in modo esplicito gli effetti su questo ambito. Tuttavia, nel medio termine, l’aumento delle rigidità potrebbe frenare la crescita del lavoro da remoto, specialmente nelle PMI e nei settori a basso tasso di digitalizzazione.
L’esito dei referendum potrebbe influenzare non solo i diritti individuali dei lavoratori, ma anche la forma e la direzione che prenderà il lavoro in Italia nei prossimi anni. Se da un lato è importante garantire protezioni adeguate, dall’altro è fondamentale evitare che queste si trasformino in ostacoli alla modernizzazione dei modelli produttivi. Trovare un equilibrio tra tutela e flessibilità sarà la vera sfida dopo il voto.