In questo nono episodio di Remote Workers for Remote Villages, la conversazione con Elisa Lo Blanco e Roberto Palma mette a fuoco un punto spesso trascurato nel dibattito sul lavoro da remoto: non si tratta di “tornare”, ma di evolvere. Evolvere il modo di lavorare, di abitare i territori e di costruire relazioni professionali fuori dai grandi centri urbani.
Elisa e Roberto sono due ingegneri biomedici, con carriere costruite a Bologna all’interno del settore dei medical device. Percorsi solidi, coerenti con l’idea tradizionale di stabilità professionale. La pandemia del 2020 non introduce una svolta improvvisa, ma agisce da acceleratore: la perdita di un amico e l’esperienza diretta del Covid nella fase pre-vaccinale rendono impossibile continuare a rimandare alcune domande di fondo, legate al tempo, alla qualità della vita e al senso del lavoro quotidiano.
La loro scelta non è quella di cambiare mestiere, ma di cambiare contesto. Elisa lascia una multinazionale per una startup, Roberto riorganizza il proprio rapporto con il lavoro. Entrambi cercano – e trovano – opportunità che consentano di lavorare da remoto mantenendo continuità professionale. La Sicilia entra in questo percorso non come rifugio, ma come possibilità concreta, anche grazie alla disponibilità di spazi e risorse familiari.
È proprio qui che emerge uno degli aspetti più interessanti dell’episodio: il lavoro da remoto, se vissuto esclusivamente da casa, rischia di trasformarsi in isolamento. Da questa esigenza nasce l’idea di creare uno spazio di coworking in un piccolo centro come Licodia Eubea. Non un progetto calato dall’alto, ma una risposta pratica a un bisogno condiviso. Un oratorio ristrutturato diventa uno spazio di lavoro, grazie alla disponibilità di un parroco e alla scoperta che, anche in un paese di poche migliaia di abitanti, esiste una comunità di professionisti che lavora interamente da remoto.
Col tempo, lo spazio diventa rete. Il confronto con altre esperienze siciliane, con iniziative come Southworking e con incubatori regionali contribuisce a rafforzare un modello basato sulla collaborazione informale e sullo scambio di competenze. Non si tratta di costruire un “ecosistema” per definizione, ma di creare connessioni funzionali alla sostenibilità del lavoro nel lungo periodo.
Un altro tema centrale dell’episodio riguarda le infrastrutture. Lavorare e vivere in un territorio significa anche occuparsi del suo funzionamento. Elisa e Roberto raccontano il monitoraggio costante dello stato di avanzamento di opere strategiche come la Catania-Ragusa, non come forma di attivismo ideologico, ma come necessità concreta per chi ha scelto di vivere e lavorare lì. Il lavoro da remoto, in questo senso, produce una nuova forma di cittadinanza attiva.
Interessante anche il tema della connettività: contrariamente alla narrazione diffusa, in molti piccoli centri del Sud la qualità della banda è oggi superiore a quella di grandi città congestionate. Un paradosso che dimostra come il ritardo infrastrutturale, in alcuni casi, abbia consentito di costruire reti già adeguate agli standard attuali.
Oggi Elisa e Roberto vivono una dimensione multilocale tra Sicilia e Salento, sfruttando coworking pubblici, biblioteche e reti professionali. Non si tratta di una soluzione universale né di una ricetta replicabile ovunque, ma di una possibilità reale, che amplia lo spazio di scelta per chi svolge lavori compatibili con il remoto.
Il lavoro da remoto non risolve tutti i problemi dei territori, ma può diventare una leva concreta se accompagnato da spazi, relazioni e infrastrutture. Più che una fuga, è una scelta consapevole di dove e come stare.
Guarda l’episodio completo di Remote Workers for Remote Villages #9 su ITS Journal
Smart Working Magazine è media partner ufficiale della serie.