Quando il lavoro non conosce più confini
Solo dieci anni fa l’idea di lavorare da Bari per un’azienda parigina, o da Francoforte per un datore di lavoro di Parma, sembrava un’eccezione da raccontare in qualche conferenza futuristica. Oggi non è più così: lo smart working internazionale è uscito dalla categoria delle “sperimentazioni” ed è entrato, in modo strutturale, nelle strategie di un numero crescente di organizzazioni.
La trasformazione non è casuale. È il risultato di una combinazione di fattori: la carenza di talenti nel settore digitale e tecnologico, l’accelerazione imposta dalla pandemia e l’innalzamento delle aspettative dei professionisti, sempre più orientati a chiedere non solo flessibilità di orario, ma anche libertà di luogo.
Oggi, per chi cerca lavoro, la domanda non è più “c’è smart working?”, ma “posso lavorare dall’estero?”.
Le quattro strade dello smart working internazionale
Lo scenario si presenta variegato, con modelli diversi che stanno emergendo e che richiedono approcci organizzativi specifici:
- Assunzioni senza confini
Aziende italiane che reclutano talenti residenti in Paesi dove non hanno una sede locale, permettendo di lavorare completamente da remoto. - Trasferimenti “virtuali”
Dipendenti spostati operativamente su progetti esteri senza lasciare il Paese di origine. È il cosiddetto virtual assignment, una pratica già diffusa nel manifatturiero e oggi in crescita anche nei servizi. - Remote working temporaneo
Periodi medio-lunghi (da due settimane a sei mesi) in cui i dipendenti lavorano da un Paese diverso, senza che l’organizzazione vi sia stabilmente presente. Una formula sempre più apprezzata per coniugare esperienza internazionale e work-life balance. - Collaborazioni intra-gruppo
Lavoratori di una filiale assegnati a progetti di un’altra società del gruppo, senza necessità di trasferimento fisico.
Perché le aziende ci credono
Dietro questa evoluzione c’è un motivo chiaro: la caccia ai talenti.
- Il 45% delle grandi imprese utilizza lo smart working internazionale per attrarre competenze che non riesce a trovare a livello locale.
- Il 31% lo vede come uno strumento di retention, utile per trattenere le persone più qualificate offrendo loro libertà di scelta.
- Un ulteriore 17% lo considera una leva per esplorare mercati esteri, prima ancora di aprire una sede fisica.
Per le PMI, invece, prevale l’approccio pragmatico: usare il lavoro da remoto internazionale come anticamera di una futura espansione all’estero.
Le sfide (non solo tecnologiche)
Naturalmente, non mancano le criticità. La prima riguarda gli aspetti legali e previdenziali: contributi, tassazione, assicurazioni. Temi che, soprattutto per le PMI, possono trasformarsi in ostacoli difficili da superare.
Altre complessità riguardano:
- Cultura e appartenenza: senso di isolamento, calo dell’engagement, difficoltà di allineamento ai valori aziendali.
- Sicurezza dei dati: un tema particolarmente sensibile per le piccole imprese, che non sempre hanno infrastrutture solide.
- Burocrazia: normative nazionali non ancora uniformi, che rallentano le pratiche.
Il rischio più grande? Trasformare la promessa di libertà in un boomerang di complicazioni amministrative.
Il futuro prossimo
Se oggi quasi tutte le grandi aziende hanno un programma di smart working domestico, la versione internazionale è ancora in fase di consolidamento. Ma la direzione è chiara: nei prossimi anni, si stima che almeno la metà delle organizzazioni medio-grandi adotterà modelli strutturati di lavoro da remoto transnazionale.
Perché? Perché il lavoro, oggi, segue le persone più che le sedi. E i talenti, sempre più rari e sempre più mobili, hanno dimostrato che non basta offrire un buon contratto: serve offrire prospettive, libertà e capacità di integrazione globale.
Lo smart working internazionale non è la moda del momento, ma un nuovo capitolo dell’organizzazione del lavoro. Le aziende che sapranno affrontarne la complessità legale e culturale avranno un vantaggio competitivo enorme: accesso a un bacino globale di competenze, maggiore attrattività per i professionisti e una flessibilità che va oltre l’orario o la sede, arrivando al cuore della nuova employee experience.
Il lavoro del futuro? Non si misurerà più in metri quadri di ufficio, ma in chilometri annullati.
Non dimenticare: dal 4 settembre parte la serie live Remote Workers for Remote Villages, ideata da ITS Journal, Nomag Media e Smart Working Magazine. Dieci episodi in diretta su LinkedIn e Substack, tra settembre e dicembre 2025: un’immersione nel lavoro remoto nei borghi italiani, con storie vere, ospiti e approfondimenti su comunità, rigenerazione territoriale e work‑life balance.