La trasparenza paga. O forse no.
La nuova direttiva europea sulla trasparenza retributiva promette di riequilibrare i conti tra uomini e donne, senior e junior, manager e neolaureati. Ma mentre Bruxelles applaude all’equità, gli HR italiani — come sempre più pragmatici che ideologici — si chiedono: “Ok, ma come lo spieghiamo in azienda?”
Secondo una recente indagine Aidp su 750 direttori del personale, uno su due considera la direttiva un’opportunità per migliorare la cultura della meritocrazia. Però, come in ogni riforma dal nobile intento, il diavolo sta nei dettagli (e nelle buste paga).
Il 59% dei direttori HR ammette che non è affatto chiaro come definire “un lavoro di pari valore” — e, di conseguenza, come stabilire chi meriti cosa. Le declaratorie dei contratti nazionali sono spesso vecchie di decenni, i mansionari rigidi, e il rischio è di misurare l’equità con criteri che appartengono a un’altra epoca. Non a caso, un terzo dei responsabili HR (37%) ha già creato un proprio mansionario interno per non restare bloccato nell’attesa di nuove linee guida.
La verità è che la trasparenza retributiva non è una formula magica, ma un cambiamento culturale. E come tutti i cambiamenti profondi, spaventa. Il 52% dei direttori del personale teme che la pubblicazione delle fasce salariali possa alterare il clima aziendale, trasformando la bacheca interna in un’arena di confronti (e malumori). Perché se sapere quanto guadagna il collega può stimolare la competitività, può anche innescare un cortocircuito di sospetti, rivendicazioni e discussioni infinite.
Eppure, i benefici potenziali non mancano. Oltre il 43% degli intervistati intravede un effetto positivo sulla meritocrazia, il 32% sulla capacità di attrarre nuovi talenti, e il 26% sulla trasparenza nei percorsi di carriera. Insomma: se ben gestita, la direttiva può diventare un volano di fiducia, non solo tra generi, ma tra generazioni e livelli aziendali.
Il punto, come ricorda la presidente di Aidp Matilde Marandola, è non fermarsi alla teoria: servono linee guida chiare, formazione, e incentivi per aiutare le imprese a passare dalla norma alla pratica senza implodere sotto i buoni propositi.
Perché la trasparenza non è un file Excel da aggiornare ogni trimestre.
È un cambio di mentalità. E non tutti — dentro e fuori le aziende — sono ancora pronti a guardarsi davvero nello specchio delle proprie buste paga.