Sulla nostra testata 'sorella' Nomag, ho raccontato l’esperienza di Fjord Cowork, iniziativa nata nei villaggi norvegesi di Geiranger, Eidsdal e Norddal: spazi di coworking e ospitalità temporanea creati in contesti estremi, ma pensati per attrarre lavoratori da remoto, freelance e nomadi digitali durante tutto l’anno.
A rendere il progetto ancora più interessante era la presenza dell’Arctic Digital Nomads Grant, un bando che copriva fino a tre mesi di soggiorno con alloggio e spazi di lavoro inclusi. Per ora il grant è chiuso (le candidature si sono fermate a dicembre 2024), ma non si esclude che venga riattivato per il 2026. In ogni caso, le strutture restano aperte, funzionanti e splendide, a dimostrazione che il modello ha già gambe solide.
La domanda che ci riguarda da vicino è inevitabile: perché in Norvegia sì e nelle nostre montagne — Dolomiti comprese — ancora no?
Nei fiordi sono riusciti a combinare riuso di spazi pubblici, finanziamenti pubblici, imprenditoria privata e comunità locali. Il risultato è un’offerta che funziona anche in bassa stagione, capace di dare nuova vita a borghi remoti e di mantenere viva l’economia locale.
Da noi, troppo spesso, coworking e ospitalità temporanea restano tentativi episodici, con prezzi molto più alti e poca continuità. Eppure il paradosso è evidente: la Norvegia è un Paese dal tenore di vita e dai costi 2-3 volte superiori ai nostri, ma riesce a proporre modelli più accessibili e sostenibili di quelli che vediamo nelle Alpi.
Non è questione di copiare tutto e subito, ma di provare. Aprire spazi anche in aree interne meno “fancy”, immaginare formule ibride di lavoro e accoglienza, e soprattutto riconoscere che il lavoro remoto non è solo smart working da salotto o turismo stagionale, ma una leva per rigenerare territori e comunità.
Le nostre montagne non sono meno belle dei fiordi. Manca però un ecosistema che sappia credere nel lungo periodo e mettere insieme risorse pubbliche, private e comunitarie.
In attesa che in Italia qualcuno decida di fare il passo, io continuo a guardare al Nord: con un misto di ammirazione e malinconia, preparando il mio prossimo inverno “artico”… anche come esercizio di sostenibilità.
(Ne ho scritto in modo più ampio su Nomag → https://www.nomag.world/p/laptop-fjord-action-why-norway-wants, ma questa riflessione in salsa italica era doverosa.)