Per anni il mantra è stato chiaro: se vuoi guadagnare di più, cambia lavoro. Il cosiddetto job hopping ha rappresentato, soprattutto per i giovani, la scorciatoia verso stipendi migliori e condizioni più moderne. In Italia non è diverso: studi recenti stimano che quasi un milione di lavoratori abbia cambiato occupazione nell’ultimo anno, spesso spinti dall’idea di ottenere un aumento del 10-20% al momento del salto.
Eppure, nel 2025, il quadro sta diventando più sfumato. L’ISTAT segnala che le retribuzioni contrattuali sono cresciute del 3,9% rispetto all’anno precedente. Numeri che sulla carta sembrano positivi, ma che non reggono il confronto con l’inflazione: a marzo 2025 i salari reali restavano ancora inferiori di circa l’8% rispetto al 2021. In altre parole, anche quando arrivano aumenti, il potere d’acquisto resta sotto pressione.
È qui che entra in gioco il nuovo termine: job hugging. Restare nella stessa azienda non è più solo sinonimo di immobilismo, ma può diventare una scelta razionale. Certo, chi cambia lavoro continua a spuntare aumenti iniziali più consistenti. Ma la differenza, alla prova dei fatti, si riduce nel tempo. Tra contratti temporanei, pensioni frammentate e difficoltà di adattamento, il guadagno rischia di svanire.
Chi sceglie la strada del job hugging, invece, può contare su un percorso più lineare. Le promozioni interne, i benefit legati all’anzianità, i programmi di formazione finanziati dall’azienda: tutti elementi che spesso non fanno notizia, ma che garantiscono sicurezza e continuità. In un mercato come quello italiano, caratterizzato da forti disuguaglianze territoriali e da contratti collettivi rinnovati con ritardi cronici, avere una posizione solida all’interno di un’organizzazione può rappresentare un vantaggio tutt’altro che trascurabile.
Non significa che il job hopping sia destinato a sparire. Al contrario, per chi si trova bloccato in contesti poco dinamici, restare può voler dire rinunciare a opportunità preziose. Ma la narrativa tutta centrata sulla “grande fuga” da un’azienda all’altra comincia a mostrare crepe. Lo confermano gli stessi psicologi del lavoro: cambiare regala una scarica di dopamina, la sensazione di ricominciare da capo. Ma se il bisogno di novità non è accompagnato da una visione a lungo termine, il rischio è quello di una cronica insoddisfazione.
Il job hugging, allora, non è la scelta del “paura di rischiare”, bensì l’opzione di chi vuole investire nella continuità, consolidare competenze e costruire relazioni solide. In tempi in cui i salari crescono lentamente e il costo della vita resta alto, restare può essere un atto di realismo, se non addirittura di intelligenza strategica.
In sintesi: cambiare lavoro in Italia resta un’arma potente, ma meno risolutiva di quanto si pensasse. Restare non è più sinonimo di stagnazione, bensì una strada concreta per chi vuole crescere senza perdere di vista stabilità e sicurezza. Nel 2025, il vero salto può essere quello di restare dove si è, e farlo con consapevolezza.