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Lo smart working e la disciplina provvisoria del governo nel decreto emergenza Coronavirus

Alcune precisazioni del giuslavorista Codella in merito allo smart working nella disciplina provvisoria del governo nel decreto emergenza Coronavirus.

Tra le misure governative adottate per far fronte all’emergenza “Coronavirus” vi è anche quella di definire una disciplina e d’urgenza in materia di smart working. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha adottato, con il D.P.C.M. 01 marzo 2020, alcune soluzioni finalizzate a rendere ancor più celeri e semplici le modalità di attivazione del cosiddetto lavoro “agile”. 

Abbiamo cercato di fare un punto sul decreto con l’aiuto dell’avvocato giuslavorista Sergio Alberto Codella che ci ha fornito una sintesi della normativa provvisoria.

Decreto emergenza: dove si applica e fino a quando

Il primo elemento da sottolineare è che tale disciplina è stata aggiornata e ampliata. Il primo decreto del governo, era applicabile fino al 15 marzo 2020 e, sotto un profilo territoriale, era riferibile solo ai datori di lavoro aventi sede legale o operativa delle Regioni del Nord interessate a casi di infezioni. Il D.P.C.M. del 1° marzo 2020 (in vigore dal 2 marzo) ha esteso all’intero territorio nazionale le modalità semplificate per l'attivazione dello smart working per la durata dello stato di emergenza epidemiologica da coronavirus, ossia per sei mesi.

Peraltro, in data 28 febbraio 2020, il Consiglio dei Ministri ha adottato soluzioni volte a facilitare il ricorso allo smart working anche nelle Pubbliche amministrazioni dei territori interessati.

Dal punto di vista del contenuto, la novità di metodo sono le disposizioni dell’art. 2 del sopracitato decreto. Si stabilisce, infatti, che non è obbligatoria - come è nel regime “normale” dello smart working di cui alla legge. n. 81/2017 - la sottoscrizione dell’accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore. In altre parole è stata data precedenza alla tutela della salute del lavoratore ai passaggi burocratici, eliminando di fatto quella che era, in modo gergale, la “firma del contratto”.

Tuttavia, il nostro esperto ritiene sempre opportuno che vi sia almeno una e-mail in cui il datore di lavoro formuli la proposta. Seppur sintetica, è bene che ci sia una traccia scritta di attivazione dello strumento e una comunicazione di risposta in cui il lavoratore accetti.

Attivazione informale ma non dimentichiamoci di INAIL

Non può infatti definirsi “automatico” lo svolgimento di attività in regime di lavoro agile, dovendoci pur sempre essere una offerta datoriale ed una accettazione anche se informale data la situazione di rischio infezione Coronavirus. In ogni caso, appare essere in ogni caso necessario effettuare in via telematica la comunicazione ai servizi competenti per l’attivazione del lavoro agile, anche a garanzia assicurativa.

Infatti, non bisogna pensare che la disciplina dell’ “emergenza” deroghi su altri aspetti della normativa, considerato, ad esempio, che gli obblighi di informativa per la salute e la sicurezza sul lavoro (di cui all'art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81) dovranno comunque essere sempre assolti.

È possibile farlo in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro.

Testo di Avv. Sergio Alberto Codella

Articolo a cura di Francesco Sani

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Lo smart working e la disciplina provvisoria del governo nel decreto emergenza Coronavirus

Francesco Sani

AUTORE

Classe 1979, è giornalista pubblicista e ha un master in Sociologia. Direttore Responsabile del magazine, gli piace studiare i cambiamenti della società a causa dell'economia 2.0, le tecnologie digitali e il futuro del lavoro. Scrive e ha scritto per Firenze Urban Lifestyle, Il Fatto Quotidiano, Artribune, Millionaire e Rivista Contrasti.

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