Secondo la nuova ricerca “New Future of Work” di Microsoft, possiamo identificare cinque modelli di smart working.
Dal «mainly physical» al «fully virtual», secondo la nuova ricerca “New Future of Work” di Microsoft, possiamo identificare cinque modelli di smart working, ovvero cinque step intermedi tra un lavoro 100% in presenza e un lavoro 100% da remoto.
Mainly physical: il primo step ed anche il più classico. Con questo termine si indica infatti il lavoro come è stato conosciuto, definito e vissuto fino ad oggi. La tipologia totalmente fisica non è passata di moda: anche dopo le necessità della pandemia, diverse aziende stanno tornando in prima base. Le necessità sono di diversa natura ma spesso e più generalmente, la mainly physical è utilizzata in contesti lavorativi in cui non si può rinunciare alla presenza (si pensi ad esempio alle aziende manifatturiere).
Segue l'activity based, un fifty-fifty il cui termine gioca da spoiler sulla spiegazione: la scelta tra fisicità e online si basa sul tipo di attività da svolgere. Questa modalità può dunque essere definita come tra le meno rigide: in base alla mansione da svolgere il lavoratore si trova in un contesto piuttosto che in un altro.
Il modello hub and spoke è allo stesso modo una middle solution, gestita però in maniera diversa: la sede centrale è supportata da sedi secondarie sparse, le quali danno la possibilità al lavoratore di scegliere dove disporre il proprio luogo di lavoro. Forse tra i cinque, questo modello risulta richiedere più attenzione rispetto ai suoi simili: il datore di lavoro deve tenere conto che le persone prediligeranno posti vicino a casa, dunque deve mettere incontro la probabile creazione di agglomerati per logistica e non per organizzazione lavorativa.
Il modello club house, al contrario dei precedenti citati, utilizza gli spazi prettamente aziendali e fisici molto più raramente. In questo caso infatti la fisicità è richiesta solo per conferenze o eventi, dunque in casi particolari. La quotidianità è altrimenti svolta a distanza, dunque una modalità che per la maggior parte del suo tempo può definirsi smart working.
Come prevedibile, l’ultimo modello è quello totalmente digitale: il fully virtual viene svolto interamente a distanza e non richiede l’uso di spazi aziendali e fisici. Questa casistica contiene una lunga serie di fattori positivi (si pensi ad esempio alla riduzione di spostamenti e dunque inquinamento) ma al contempo deve tenere conto dei rischi, primo tra questi la “distanza emotiva” che può venirsi a creare tra i lavoratori e la loro azienda. Sta ai fulcri centrali di questa governare questa variabile e trovare i giusti escamotage (ad esempio eventi) affinché il senso di appartenenza non si impoverisca.
Si osserva dunque come parlare di smart working equivalga oggi ad un tema ampio, in rapida diffusione e richiedente profonda conoscenza. Lungi dall’essere una tematica superficiale, lo smart working è ormai una realtà consolidata: si passa dalla società liquida al lavoro liquido. Se decenni addietro era l’uomo a mutare, oggi sono le dinamiche lavorative che aprendosi alla libera liquidità e chiedendosi di fronte alla rigidezza da ufficio stimola un piacere lavorativo in grado di creare coinvolgimento.
Il risultato prevede chiaramente miglioramenti, non solo per il lavoro prodotto ma per la quotidianità di chi lo produce.
Copywriter freelance e nomade digitale, è laureata in Comunicazione all'Università di Torino e ha studiato Fashion System Design a Firenze. Da alcuni anni si sposta per il mondo per aprire la mente e trovare nuovi stimoli per la scrittura. Attualmente vive a Lisbona.
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