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Dalla pausa caffè allo smart working da Starbucks?

Se Starbucks ha sostituito l'ufficio c'è qualche interrogativo da porsi sulla degenerazione del significato della parola "smart working".

Una delle esperienze più curiose del team di Smart Working Day durante l’evento del “Day” a Milano è stata la colazione da Starbucks. Confesso che non mettevo piede nella catena americana da oltre 10 anni, quando mi trovavo all’aeroporto di Los Angeles e quella era opzione più veloce per soddisfare il mio bisogno di caffeina. Ma stavolta il coffee-break è stato sociologicamente interessante.

Intorno a noi tutti sembravano stessero lavorando davvero da qui, anzi erano proprio in video-call! Giovani freelance ma anche figure white collar che davano proprio l’idea di essere in odore di management. Erano in remote working? 

Ho voluto approfondire e Google mi ha fornito un paio di articoli interessanti: prima ho trovato sul magazine Flawless I migliori café di Milano per lo smart working – sottotitolo: “dove andare quando il lavoro è da remoto” con la classifica in base all’angolo di pace, gusto e confort – poi, su Event Addicted, Dove studiare o fare smart working nel cuore di Milano

Quindi una conseguenza del lavoro da remoto è quella di aver fatto passare le persone dalla pausa caffè con i colleghi in ufficio a gestire task e call da Starbucks?

Steve Jobs era convinto che le idee più geniali nel suo team scaturissero dalle chiacchiere dei collaboratori durante le pause caffè o quando erano a mensa. Non è solo un momento di svago ma un attimo che migliora la qualità delle performance al lavoro. Perché le grandi idee - come sappiamo bene da Isac Newton - arrivano proprio quando meno ce lo aspettiamo, a riposo, oppure condividendo pensieri e ascoltando colleghi impegnate in compiti diversi dai nostri.

Anche la scienza ha sostenuto che le pause caffè hanno una funzione creativa. L’Harvard Business Review ha reso nota l’influenza positiva delle pause, perché quando si svolge continuamente un incarico simile è facile perdere la concentrazione. La parte più creativa del cervello non riesce a intervenire mentre siamo occupati in compiti che ci assorbono completamente, quindi non è un caso che al cervello si accenda la lampadina quando siamo a mente libera. In conclusione, la pausa permette di approcciarsi a qualcosa da un angolo diverso, spesso su suggerimento di un collega che ha una visione diversa della faccenda. 

E adesso torniamo da Starbucks. Confesso non potrei lavorare in questi locali anche se l’ambiente è gradevole, perché sono tendente alla distrazione facile, ma a quanto pare per qualcuno è possibile. Possibile e favorito da Starbucks stessa che sembra aver pensato a tutto per rendere la permanenza “un’esperienza”. Quindi non una pausa ma un momento produttivo vero e proprio. Premesso che se lavori da remoto sono fatti tuoi da dove ti colleghi al mondo con il PC, lato azienda, se sei uno smart worker dipendente, credo sarebbe preferibile che lo smart working avvenisse in uno spazio lontano da occhi indiscreti che sbirciano cosa stai facendo sullo schermo. Come mi viene naturale chiedere se sia veramente smart l’uscire di casa per recarsi in un café anziché in ufficio.

Per concludere, non posso esimermi da invitarvi a cercare sul web l’articolo sulle 13 caffetterie di Milano per lavorare da remoto oltre Starbucks. Sia mai che vi stiate perdendo qualcosa…

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Dalla pausa caffè allo smart working da Starbucks?

Francesco Sani

AUTORE

Classe 1979, è giornalista pubblicista e ha un master in Sociologia. Direttore Responsabile del magazine, gli piace studiare i cambiamenti della società a causa dell'economia 2.0, le tecnologie digitali e il futuro del lavoro. Scrive e ha scritto per Firenze Urban Lifestyle, Il Fatto Quotidiano, Artribune, Millionaire e Rivista Contrasti.

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