I risultati restituiscono un affresco in chiaroscuro: tanta voglia di arrangiarsi ma anche incapacità dell’azienda di informare correttamente i collaboratori.
Nelle scorse settimane il Corriere della Sera ha chiesto ai suoi lettori di sottoporsi ad una serie di domande su come avevano vissuto lo smart working durante il lockdown della primavera 2020 e le chiusure dell’autunno inverno che ci siamo lasciati alle spalle. 15 quesiti, scelti tra quelle che il sindacato CISL aveva sottoposto già ai suoi iscritti. Hanno risposto in 9.521 e con la collaborazione di Adapt e Università Cattolica sono stati pubblicati i risultati, da ieri consultabili a questo link
Il campione di quasi 10mila persone è importante – per i miei ricordi, sono passati vent’anni dall’esame di Statistica… – posso dire che è significativo. Ma perché è utile andare a leggersi questi risultati? Sappiamo solo le categorie di appartenenza del campione, non l’età né il sesso, anche se possiamo avere un’idea del lettore medio del Corriere. Perché le domande erano di “metodo” e confermano quelle che sono le sensazioni di chi ha indagato il fenomeno: gli italiani non hanno avuto le istruzioni ma se la sono cavate arrangiandosi com’è nel nostro DNA!
Quasi la metà del campione, infatti, ha detto di non aver ricevuto delle informazioni sullo smart working e su come fosse organizzato nella propria azienda (orari di lavoro, strumenti di lavoro, comportamenti vietati ed eventuali sanzioni). Il risultato è un 42,5% di intervistati che alla successiva domanda ha risposto di aver percepito un maggior carico di lavoro. La disorganizzazione, d’altra parte non aiuta e non s’impara a lavorare da remoto dall’oggi al domani.
Andando avanti si nota un altro quesito dalle risposte interessanti:
Il diritto alla disconnessione è il diritto del lavoratore di non essere connesso agli strumenti informatici di lavoro al di fuori del proprio orario di lavoro, salvo che ciò non sia richiesto a titolo di lavoro straordinario o a titolo di reperibilità. Come lo garantisce la tua azienda?
Se un terzo ha risposto che l’azienda si è limitata a ricordare che l’esistenza di questo diritto esiste e che fondamentalmente era identificato con il non essere tenuti a rispondere sempre alle mail, più preoccupante è il 61% che risponde: <<Non ha posto in essere alcuna misura né ci ha informato dell’esistenza di tale diritto>>.
Siccome i dati necessitano di corretta interpretazione, Emmanuele Massagli di Adapt sostiene che a suo parere non si informano i lavoratori non perché li si voglia raggirare, ma perché anche le direzioni aziendali non conoscono la materia. Lettura da capire, esattamente come la percezione di lavorare di più, ma ipotesi probabile. Come non c’era bisogno di un sondaggio per sapere che c’èra stata la corsa all’acquisto di un nuovo PC (magari per fare la DAD con i figli) e scrivanie.
Molti hanno pure rivoluzionato gli spazi di casa per ricavarsi uno studio. Poi una serie di note dolenti. Il 76% non ha ricevuto nessun benefit – ma qui nessuna sorpresa, non tutte le aziende sono come Stantec o WindTRE - il 37% ha dichiarato che gli sono stati tolti i buoni pasto, ma soprattutto merita attenzione la risposta sulla informativa scritta in materia di sicurezza sul lavoro. «Si tratta di uno dei pochi obblighi di legge in materia di smart working — sottolinea Massagli — Tra l’altro è un semplice adempimento. Nelle aziende ove non è stata consegnata (48,7%) semplicemente l’esperienza di lavoro agile in atto è contro la legge, sarebbe sanzionata».
A mio avviso il lavoro agile in tempo di pandemia è stata un’occasione persa per molte aziende per un salto qualitativo nell’organizzazione. Forse qualcuno si doveva rendere conto che mettere i collaboratori nelle condizioni migliori per svolgere i loro compiti – anche solo informarli – avrebbe permesso di far comprendere quello che non è smart working. E noi ci risparmiavamo la fatica nel ribadirlo: oggi in molti quando sentono la parola smart scappano dalla disperazione. È chiaro che il problema non sia stato quello di ricavarsi una stanza per il remote working, quanto piuttosto la capacità di chiudere il lavoro dietro la porta di quella stanza quand’era il momento di farlo.