La proposta della settimana lavorativa corta di 4 giorni è un esperimento che sta diventando un vero e proprio trend. In Europa non è solo l’Islanda ad abbracciare questo nuovo modus operandi, ma a lei si accoda la Spagna. Il colosso internazionale delle telecomunicazioni Telefónica Spagna ha deciso di sperimentare la settimana corta di 4 giorni lavorativi ma con almeno due giorni in smart working e con il taglio dello stipendio pari al 15%.
Telefónica: l’esperimento della settimana corta, smart working e taglio dello stipendio.
Avverrà tutto in via sperimentale e volontaria. La sperimentazione inizierà a ottobre di quest’anno e durerà tre mesi grazie agli accordi firmati con i sindacati. Telefónica sembra così essere una pioniera di un esperimento che rientra nel favorire una maggiore flessibilità e migliorare il rapporto casa-lavoro. «Abbiamo deciso di andare avanti con un modello di lavoro flessibile che si è dimostrato efficace durante la pandemia», ha detto Emilio Gayo, presidente di Telefónica Spagna.
«Siamo un’azienda coraggiosa e pioniera in termini di condizioni di lavoro in Spagna. Vogliamo contribuire a creare un equilibrio tra vita professionale e personale e avere un’influenza decisiva nella costruzione di una società migliore. Siamo convinti che usciremo da questa situazione più forti come squadra, meglio collegati e più impegnati», ha concluso.
Smart working e settimana corta aumentano la produttività.
Ma secondo a quanto detto dal presidente Gayo, in una società migliore in cui si vogliono fare progressi in termini di wellfare e work-life balance, è normale decurtare lo stipendio del -15% per lavorare quattro giorni di cui due in smart working? Di fatto, qual è l' "innovazione" del sistema in una considerazione più ampia di società se quello che si fa è lasciare a casa il dipendente un giorno a settimana decurtandogli lo stipendio? Qual è la differenza tra lasciare un dipendente a casa e non pagarlo e questa nuova formula? Sì, la differenza c’è in termine di cifre e percentuali. Ma a livello etico, basandoci sulla considerazione della “società migliore”, cosa si sarebbe migliorato?
E, dopo tutto, è giusto? Non è un mistero che la settimana corta è di per sé un vantaggio per una qualsiasi azienda in termini di produttività. Lo smart working, pure: i due esperimenti islandesi di riduzione da 40 a 35-36 ore della settimana di lavoro senza tagliare i salari, hanno coinvolto complessivamente circa 2.500 lavoratori (oltre l’1% della popolazione attiva) impiegati in diversi ambiti del settore pubblico, dagli uffici alle scuole materne, dai servizi sociali agli ospedali.
Lo studio ha riportato che la riduzione delle ore non aveva ridotto le prestazioni lavorative in molti casi, mentre in altri le aveva aumentate.
In uno dei call center del comune, per esempio, la percentuale di telefonate a cui i dipendenti hanno risposto è stata del 93 per cento in media, contro l’85 per cento misurato nello stesso periodo in un gruppo di controllo a cui non erano state diminuite le ore.
L’aumento della produttività era stato già verificato da Microsoft in Giappone. Con l'iniziativa “Work Life Choice Challenge”, l'azienda di Redmond ha deciso di provare una settimana di lavoro ridotta per i suoi 2.300 dipendenti della sede di Tokyo. Per il periodo del test la produttività (che è stata misurata in termini di vendite per dipendente) è aumentata del 39,9% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente (agosto 2018, dunque). Quindi, se secondo gli studi la produttività aumenta e, quindi, un maggiore introito finanziario economico per l’azienda, perché decurtare lo stipendio?
L’esperimento di Telefonica è davvero avanguardista?
Da quanto riportato dal Sole 24 ore:
«Gli esperimenti islandesi sono infatti partiti dal settore pubblico, la municipalità di Reykjavik e uffici governativi, sebbene abbiano poi prodotto a cascata effetti anche nel settore privato, dove però per alcune categorie - lavoro manuale e industria - gli accordi in materia vengono demandati alla contrattazione aziendale.
Sebbene in alcuni casi la riduzione dell’orario di lavoro non abbia avuto un impatto economico, per effetto dell’incremento di produttività, ci sono posti di lavoro (soprattutto in ambito sanitario) dove questa equazione si è rivelata impossibile ed è stato necessario assumere. I costi per il governo islandese sono stimati in 4,2 miliardi di corone islandesi all’anno (28 milioni e mezzo di euro circa): si tratta appena dello 0,5% del budget governativo, ma andrebbe verificato su economie più grandi».
A livello di bilancio pubblico e privato la diminuzione delle ore di lavoro in alcuni casi può far sembrare anche giusta l’idea della decurtazione dello stipendio. Ma non è questa, comunque, la soluzione finale benché se lavorando di meno, si produce di più, matematicamente parlando dovrebbe esserci addirittura non una decurtazione ma un aumento salariale. Questa, forse, sarebbe la rivoluzione per la “società migliore”.